MySpace
Nel web delle prime identità digitali, la rete assomigliava a una costellazione di camerette. In ognuna, un ragazzo familiare ci sorrideva dallo schermo. Era Tom, il nostro primo amico virtuale.
Un'esplorazione nei paesaggi virtuali che hanno definito l'identità, le relazioni e i ricordi di un'intera generazione, tra nostalgia, estetiche e nuove forme d'appartenenza. Appuntamento ogni venerdì con Mentally I’m here, la nostra nuova serie.
C’è una foto che ha definito per sempre il volto della socialità digitale. Si tratta di una piccola immagine, in bassa definizione, leggermente sottoesposta. Sullo sfondo, una lavagna piena di scarabocchi e parole incomprensibili; in primo piano, un ragazzo con una t-shirt bianca che si volta verso l’obiettivo, quasi colto alla sprovvista. Sorride verso di noi, anche se non può vederci. È Tom Anderson, co-fondatore di MySpace, e quella foto era il suo celebre avatar sul social network, una presenza immediata e costante su ogni blog della piattaforma. Per noi, in realtà, era semplicemente “Tom”, un punto di riferimento affidabile e silenzioso, il simbolo quintessenziale della socievolezza del nascente web 2.0. Il primo amico virtuale, il primo spettatore. Un’icona discreta e rassicurante ma, soprattutto, il perfetto padrone di casa in quella che, a partire dal 2003, è stata la più grande rete di camerette digitali in tutto il mondo.
Era proprio dalle camerette che ci collegavamo, da quelle materiali e meno interessanti, alla periferia di una grande città o nascoste in qualche piccola provincia. MySpace le faceva sembrare tutte più vicine e, al tempo stesso, più grandi e affascinanti. Dentro la piattaforma le mura di casa, limitanti e definitive, venivano sostituite dagli sfondi aperti e variopinti delle diverse pagine personali, modellabili attraverso la combinazione di semplici righe di codice, mentre l’arredamento cedeva il posto ai font, alle animazioni, alle scelte cromatiche. La bacheca era il diario lasciato aperto sul comodino in cui custodire i propri pensieri, tenere traccia di un evento, entusiasmarsi per un nuovo interesse, mentre l’atmosfera che permeava lo spazio era veicolata da un piccolo player musicale incorporato in ogni blog, dove una canzone scelta per risuonare in loop accoglieva ospiti occasionali e amici virtuali, dichiarando subito la sottocultura di appartenenza e lo stato emotivo del proprietario di quella cameretta. Il primo indizio di una sovrapposizione che diventerà cara al web: quella tra identità individuale, estetica e mood. Infine, c’era la foto profilo, un’analogica appesa al muro, la fototessera più importante di tutte.
Quella di Tom ha segnato così intensamente la memoria della generazione MySpace da essere stata definita in un articolo su The Verge del 2017 la Monna Lisa delle foto profilo. Il motivo del paragone è iconografico – negli anni di attività di MySpace la foto di Tom venne visualizzata da centinaia di milioni di persone, diventando una delle immagini più riconoscibili del web – ma ha anche una portata storica. Tom è il primo volto a incarnare l’idea di un’identità digitale cristallizzata dentro un’immagine riconoscibile. Con lui, e con MySpace, inizia una fase in cui la personalizzazione dello spazio online diventa espressione fondamentale del proprio desiderio di autorappresentazione.
Gli anni di MySpace sono gli anni in cui il web inizia a diventare un’altra cosa: accanto alla metafora di un’autostrada dell’informazione suggerita da Al Gore e quella della rete navigabile di Tim-Berners Lee, lo spazio virtuale inizia a configurarsi come surrogato della quotidianità, un luogo in grado di sovrapporsi alla realtà materiale non solo per offrire nuove conoscenze e informazioni, ma per amplificarne gli aspetti identitari legati alla socialità e all’individualità. La cameretta, simbolo delle passioni e dei sogni coltivati in un’età spensierata e promettente, diventa contemporaneamente immagine di un nuovo culto della personalità e di una nuova forma di relazione spaziale con l’ambiente digitale: non una piazza o un villaggio globale, ma un sistema di individualità isolate che comunicano tra loro da territori protetti, autonomamente controllati.
E mentre ci esercitavamo a esplorare e incapsulare l’identità attraverso le stringhe di codice, costruendo a tutti gli effetti le prime bolle che chiamavano nicchie o comunità, Tom ci sorrideva dall’alto, il dio minore di un universo digitale che, lentamente, rinunciava a offrirsi come uno spazio pubblico.