Pleasantview
Il primo quartiere virtuale, un luogo dove le possibilità si espandono oltre i confini della vita reale: una carriera impeccabile, una morte improvvisa in piscina.
Un'esplorazione nei paesaggi virtuali che hanno definito l'identità, le relazioni e i ricordi di un'intera generazione, tra nostalgia, estetiche e nuove forme d'appartenenza. Appuntamento ogni venerdì con Mentally I’m here, la nostra nuova serie.
C’è un meme online che mi sorprende sempre con un moto di tenerezza improvvisa: I grew up on these streets, recita una scritta sopra l’immagine di un quartiere virtuale in via di sviluppo. Nello screenshot un’unica strada circolare collega i pochi lotti residenziali già edificati; le case, adagiate su un prato verde e rigoglioso, sono incorniciate da un boschetto rarefatto di pini stilizzati. A nord-est, un fiume attraversa perpendicolarmente il terreno, scorrendo dolcemente verso valle. Si chiama Neighborhood 1 ed è il primo quartiere di The Sims, il gioco interattivo di simulazione sviluppato da Maxis e pubblicato da Electronic Arts nel 2000. Per la seconda edizione, i programmatori sceglieranno di dargli un nome meno impersonale, Pleasantview, insieme a un piano urbanistico più strutturato, dotato di isolati riconoscibili, una più ampia varietà di edifici e una “vita di quartiere” animata, con nuovi personaggi, carriere e attività.
Un’affermazione che, invece, rischierebbe di provocare un moto di tenerezza in qualsiasi interlocutore che non abbia sperimentato la vita virtuale è la seguente: io, a Pleasantview, ci sono cresciuta davvero. Durante il weekend, sforavo di nascosto le ore di gioco concordate con i miei genitori svegliandomi all’alba e infilandomi silenziosamente nello studio per trascorrere il tempo sospeso prima della sveglia nel sobborgo dove viveva la mia famiglia virtuale. Ogni mattina, mi prendevo cura dei bisogni e delle ambizioni dei miei sim, cercando di assicurarmi che il cristallo sospeso sopra la loro testa (il plumbob, indicatore dell’umore) brillasse sempre del verde più acceso. Quello era un obiettivo, l’altro era scoprire cosa si potesse fare con una vita che non era la mia: rubare, litigare, arredare l’appartamento in maniera eccentrica, innamorarsi dell’intero sobborgo, mangiare pizza e hamburger tutti i giorni. In quelle ore, anche il mio plumbob riluceva di felicità. A Pleasantview potevo essere una chef e una criminale, vivere in un caravan o in una villa gotica, vivere in un caravan ed essere la migliore amica, l’amante o il peggior nemico degli inquilini della villa gotica, sognare la vita come quel complesso intreccio di eventi ricchi di opportunità e di imprevisti: una carriera da golf caddy che si traduce in quella da dj di successo, una giornata qualunque sconvolta dalla visita di un extraterrestre, una scaletta di metallo che scompare dalla piscina e la morte che viene a prenderti.
Un aneddoto: Pleasantview inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi Pleasantville. Lo ha confermato in un’intervista il produttore Jonathan Knight, smentendo invece l’ipotesi secondo cui il cambio di nome sarebbe servito a evitare contenziosi con l’omonimo film del 1998, diretto da Gary Ross. Online, tuttavia, persistono diverse teorie su un presunto legame tra i due quartieri: non solo i nomi di molti sim che popolano il sobborgo richiamano apertamente quelli dei personaggi chiave dell’opera cinematografica, ma alcuni documenti di produzione rinvenuti dai fan confermerebbero la volontà degli sviluppatori di costellare il videogioco di richiami alla cultura pop “reale”, in un approccio degno dei romanzi di Philip K. Dick. Due esempi tra i tanti: una cassettiera dal nome Hold Me Closer prodotta da Tiny Dresser Co. ricorda esplicitamente la celebre canzone di Elton John, mentre la scultura Unlikely Whale Sculpture è una citazione a uno specifico passaggio di Guida galattica per gli autostoppisti di Doug Adams. Il riferimento a Pleasantville non sarebbe quindi solo plausibile, ma anche appropriato: nel film, i due giovani protagonisti si ritrovano teletrasportati in una realtà parallela in bianco e nero, dove qualsiasi squilibrio – un gesto di passione, un atto di ribellione – finisce per incrinare l’ordine prestabilito colorando il paesaggio con un senso di libertà inedito.
Non era tanto diverso, in quelle mattine passate a Pleasantview, e chi ci ha vissuto credo lo sappia. Lì, in quel sobborgo tra il fiume e il bosco, l’esistenza sembrava colorarsi un po’ e, filtrando dallo schermo, quasi riusciva a tingere anche la nostra con la promessa di una vita, se non proprio avventurosa, quantomeno sfaccettata: un quartiere variopinto e accogliente, una casa tutta nostra da arredare, una vita sentimentale intrigante. Oggi, nelle nuove cittadine di The Sims 4, i miei sim vivono da soli, spesso in condomini o in abitazioni condivise. Fanno i freelance, guadagnano il giusto, si allenano tutti i giorni e contano le calorie dei propri pasti. In una squisita mossa dickiana, la realtà sembra essersi finalmente capovolta, e non si riesce più a capire quale sia la simulazione.